La luce delle Mainarde
Testo di Guglielmo Ruggiero
Foto di Pierluigi Giorgio
Il 21 marzo 1960, mentre entrava la primavera nell’emisfero boreale, il “poeta del pastello” salutava questo mondo con la certezza di aver “vissuto l’arte ogni giorno”. Risuonano insistenti dentro la mia testa, come la vibrazione pura di un diapason, le sue parole: “Io penso a fare quello che sento, quello che sogno…”.
Sono queste parole che mi spingono e mi accompagnano oggi, 22 settembre 2021, lungo il sentiero che ho scelto di percorrere e di assaporare. Castelnuovo al Volturno, piccolo borgo in provincia di Isernia, arroccato sulle pendici delle Mainarde, mi accoglie con tutta la sua antica e semplice bellezza. La luce che pervade l’aria ha un che di magico e mi sembra di essere dentro una favola. I raggi del sole attraversano, timidi, le chiome dei faggi che, lentamente, si preparano al lungo riposo invernale donando alla foresta quelle tinte color pastello che sanno d’autunno. Lungo il mio cammino incontrerò i faggi, le rocce, i colori caldi e avvolgenti di questa stagione che tanti artisti ha ispirato nella ricerca del bello. E soprattutto “incontrerò” lui, Charles. Charles Lucien Moulin.

Pierluigi Giorgio impersona Charles Moulin
Egli, con la sua scelta forte e consapevole, volle esprimere un ideale. E per farlo decise di “essere lontano”. Lontano dalla mondanità della sua Parigi che pure lo vide frequentare l’Accademia delle belle arti, dove divenne amico di Henri Matisse e Georges Henri Rouault. Dopo aver ottenuto il premio “Prix de Rome”, nel 1896, giunse in Italia. Forse a Roma conobbe Vincenzo Tommasone, uno zampognaro molisano che gli fece da modello. Fu proprio questi a fargli conoscere la bellissima valle del Volturno.
Era il 1911 quando scelse le Mainarde molisane per quello che doveva essere un breve soggiorno che poi prolungò per circa un anno. Soltanto nel 1919 fece delle Mainarde la sua casa e vi rimase per tutta la vita, sino al giorno in cui si spense all’età di 91 anni, in quel di Isernia, il 21 marzo del 1960. Come sua dimora costruì una capanna situata nei pressi della vetta del Monte Marrone, ultimo lembo meridionale dei Monti della Meta, gruppo montuoso dell’Appennino centrale posto al confine tra Abruzzo, Lazio e Molise, di cui fa parte la Catena delle Mainarde.
Perché Charles Moulin preferì questi territori? Cosa trovò di così attraente nell’alta valle del fiume Volturno e nelle sue genti autenticamente accoglienti? Cosa intravide nelle vette selvagge, nei boschi intatti e nei panorami sconfinati che questi monti ancora oggi regalano? I motivi che spinsero “Mussiè Mulà” ad abbandonare ogni cosa e a scegliere di vivere i suoi ultimi quarant’anni di vita da eremita, sono certamente da ricercare nella bellezza e nella naturalezza di questi luoghi e forse anche nella fine di un grande amore o nell’esperienza della guerra, che lo spinse a una forma di ribellione che si tradusse in solitudine e silenzio? La ricerca dell’essenziale e il desiderio di dare “forma materiale all’immateriale” trovò concretezza nella luce che questi monti e questi paesaggi sono in grado di generare? Sì! Deve essere proprio questa luce che deve aver affascinato Charles Moulin.
La stessa luce di cui godo quando, in una giornata di inizio autunno, decido di indossare gli scarponi, prendere lo zaino, riempirlo di poche ed essenziali cose e incominciare a percorrere il sentiero che, nei pressi di Colle Rotondo, a 1.050 metri di quota, mi condurrà sulla vetta del Monte Marrone a 1.805 metri.
Passo dopo passo assaggio questa montagna che ancora una volta mi concederà di scoprirne le bellezze naturalistiche e ambientali così come la sua storia, i suoi miti e le sue leggende.
Percorrere i sentieri delle Mainarde è un’esperienza davvero straordinaria. La natura ti avvolge come in un abbraccio e i profumi e i colori suggellano questo abbraccio quasi materno, che senti tutto attorno a te. Camminare su questi sentieri significa ritrovarsi meravigliosamente connessi a sorprendenti creature, come cervi, orsi, camosci e lupi, che li hanno solcati prima di te. Significa lasciarsi trasportare verso il senso del bello che queste montagne offrono. Significa riconoscere di essere parte di un ciclo perfetto che solo la natura può e sa preordinare.
Di colpo ti accorgi che sei tutt’uno con essa. E solo allora potrai dire di aver “incontrato” davvero Charles Moulin. Egli seppe divenire parte di quel paesaggio, parte di quella natura da lui tanto amata quanto trasferita con maestria sulle sue tele. E una volta giunto in vetta, se chiudi gli occhi e presti attenzione, potrai percepire ancora il suo sguardo silenzioso e saggio rivolto verso la luce splendente delle Mainarde.
“Io non vivo d’arte, vivo per l’arte e per giungere a ciò, c’è bisogno di un distacco dal mondo e dalla mondanità per recuperare, nella Natura, una intesa come maestra di vita […]”