La settimana che precede la domenica di Pasqua è un periodo particolarmente sentito da ogni fedele. Rispetto al Natale, sono giorni vissuti con maggiore raccoglimento e profonde riflessioni anche se non mancano momenti di festose celebrazioni, rievocazioni e rituali che ogni comune, con un pizzico di orgoglio identitario, conserva gelosamente e “mette in scena” per l’occasione. Questa è l’atmosfera che contraddistingue le processioni del Venerdì Santo soprattutto nel Sud Italia e non sono da meno i nostri capoluoghi di provincia, Isernia e Campobasso, che regalano al pubblico due manifestazioni molto coinvolgenti dal punto di vista emotivo.
Gli Incappucciati di Isernia
Foto di Pino Manocchio
Vestiti di bianco con un cappuccio a punta in testa, camminano scalzi e trascinano sulle spalle le “Croci Calvario” e le “Croci Sudario” sulle quali è riassunta, attraverso dei simboli, tutta la vicenda della Passione di Cristo.
Sono gli Incappucciati, i fedeli penitenti protagonisti del Venerdì Santo isernino. La processione rituale, organizzata dalla Confraternita del Santissimo Sacramento del Cristo Morto, trasforma il centro storico in una vera e propria capitale della Cristianità.
Ogni dettaglio è curato minuziosamente dalle altre confraternite religiose della città (Santa Maria del Suffragio, Sant’Antonio, San Domenico, San Pietro Celestino), che si riconoscono per il colore delle mozzette (o mantelle) e partecipano svolgendo ognuna un preciso ruolo. Un’atmosfera suggestiva e avvolta nel silenzio accompagna lo snodarsi della processione, interrotta solo dai canti recitati dai fedeli che seguono l’intero percorso, inframezzandolo con preghiere e invocazioni sacre. La processione ha come principale caratteristica la presenza degli Incappucciati che trasportano le statue della Mater Dolorosa e del Cristo Morto, oltre i busti degli Ecce Homo, le Croci Calvario e le Croci della Via Crucis.
Lo scopo del cappuccio è quello di tenere segreta l’identità di chi compie l’atto penitenziale, conferendo maggior valore e drammaticità a questo gesto di devozione.
La processione del Venerdì Santo vede grande coinvolgimento da parte della comunità, una partecipazione che, unita ai canti e alle preghiere, rende la manifestazione molto commovente, tanto da non trovare eguali in alcun altro rito religioso della città.
Il Venerdì Santo a Campobasso
Foto di Paolo Pasquale
Immaginate un coro di circa settecento cantori, formato da uomini e donne, le cui voci risuonano e rimbombano tra gli stretti vicoli di un centro storico dalle spiccate sembianze medievali. È quanto accade a Campobasso con la processione del Venerdì Santo che, muovendo dalla chiesa di Santa Maria della Croce, si snoda nel centro storico per poi procedere verso i quartieri più moderni della città.
Lungo il percorso, i fedeli si trattengono in preghiera specialmente presso i luoghi dove è maggiormente avvertito il sentimento della sofferenza, il carcere su tutti. La statua del Cristo, seguita dal corteo, fa rientro in chiesa quando oramai la luce del giorno è calata e le luci soffuse dei lampioni rendono l’atmosfera ancora più suggestiva.
L’intera processione è accompagnata dalle settecento voci del coro che intona il “Teco Vorrei”, l’inno all’Addolorata reso ancora più intenso e toccante dalla composizione del maestro campobassano Michele De Nigris. La manifestazione, istituita nel 1626 nel patto di concordia tra Crociati e Trinitari (due delle fazioni laiche campobassane), non ha mai smesso di scaldare i cuori degli abitanti e di elettrizzare la città, elevando gli animi di tutti verso sentimenti più nobili e sublimi.