Il rito dell’Uomo Cervo
La celebrazione della rinascita della natura
di Mariagiovanna Antinolfi
Foto di Paolo Pasquale, Mariagiovanna Antinolfi e Sisto Bucci
Arroccato alle pendici dell’omonimo monte, il piccolo borgo di Castelnuovo al Volturno (frazione di Rocchetta al Volturno) racchiude, come uno scrigno prezioso, rare “gemme” ereditate dal suo passato che brillano ancora oggi luminose.
Gli abitanti del luogo hanno molto da raccontare sulle proprie tradizioni, i luoghi e la storia locale, come quella legata alla Seconda Guerra Mondiale che nel Molise ha lasciato segni indelebili.
Forse uno dei momenti più difficili per Castelnuovo fu quello che lo vide raso al suolo dalle truppe americane, nel corso del secondo conflitto, per soddisfare la fame scenica dei combat cameraman.
Questi filmaker inscenavano episodi di guerra, spesso anche con bombardamenti reali, che riprendevano con le loro telecamere per mettere in risalto il coraggio e il valore dei soldati. Ciò significava infierire ancor di più sui piccoli borghi, già fiaccati dal conflitto, per pura propaganda politica e vanità cinematografica.
Dopo diversi decenni e un profondo intervento di ricostruzione, Castelnuovo ha visto una nuova rinascita e oggi appare come una piccola perla incastonata tra le Mainarde molisane. E chissà che la passione per le rappresentazioni sceniche non sia, per la sua gente, il modo più fantasioso e originale per esorcizzare il ricordo di quella, tanto tragica quanto vera, fin qui descritta.
Alle origini del rito
In questo prezioso borgo molisano, infatti, ogni anno nell’ultima domenica di Carnevale, si inscena un’antica pantomima: la caccia all’Uomo Cervo o, seguendo una denominazione più tradizionale, il rito de “Gl’ Cierv”.
Si tratta di una rappresentazione legata ad arcaiche simbologie che vedevano nel cervo talvolta l’incarnazione del maligno, talaltra l’emblema della sacralità, vitalità e fertilità.
Le sue origini sono sconosciute, sebbene si avanzino diverse ipotesi. Il fatto che si svolga, da tempi immemori, alla fine dell’inverno sembra quasi legarsi a un rito di passaggio a una nuova stagione, dove risulta necessaria una morte che permetta la rinascita del mondo della natura.
La manifestazione assume colori e connotati leggermente diversi da quelli originari, somigliando a uno spettacolo teatrale, che oggi si tiene esclusivamente nella piazza principale del paese, mentre in passato coinvolgeva quasi tutto il borgo. Ciò per semplificare lo svolgimento della messa in scena realizzata prevalentemente per i curiosi che giungono qui anche da fuori regione, allo scopo di incrementare le visite turistiche nei nostri borghi, così belli ma ancora poco noti. In secondo luogo, il rito si svolge all’imbrunire, quando su Castelnuovo calano le ombre della sera che conferiscono maggiore intensità all’intera costruzione scenica. Anticamente, invece, si svolgeva subito dopo la messa delle 12 dell’ultima domenica di carnevale. Anche i protagonisti sono cambiati nel corso del tempo, vedendo l’aggiunta di nuovi personaggi accanto a quelli originari.
La pantomima del Rito dell’Uomo Cervo
Dopo l’intrattenimento di gruppi folcloristici, le luci si abbassano e un gruppo di streghe, le Janare, irrompono nella piazza al ritmo di una danza tribale attorno a un falò.
A guidarle, un personaggio turpe e spaventoso, il Maone, che aggirandosi in mezzo alle janare impaurisce il pubblico con la sua maschera mostruosa e il suo incedere goffo e grottesco.
La loro danza è l’essenza di un rito macabro che spinge gli spettatori in un’atmosfera di terrore e suspense. Le grida delle janare sono, infatti, sostituite dai bramiti del cervo e dall’urlo corale che, al suo ingresso nella piazza, gli abitanti del paese emettono attoniti e spaventati: “gl’ cierv”!
È il momento centrale della pantomima: il cervo dissemina disordine e panico, gettando in aria tutto ciò che incontra, lanciandosi sul pubblico e gridando forsennato come in preda a un maleficio: nessuno lo può fermare, nessuno riesce a placare la sua furia. Nella concitazione del momento appare lei, la cerva, bella e selvaggia, dolce e terrificante al contempo; l’unica in grado di contenere gli impeti violenti del cervo.
I due danzano, avvolgendosi in un dolce e tenero abbraccio che già sembra anticipare il compimento del miracolo: la redenzione dal maligno attraverso la forza irresistibile dell’amore. Ma il destino dei due è ormai segnato: al centro della piazza è sopraggiunto il Martino, o Pulcinella molisano, che con i suoi artifizi magici doma la ferocia delle bestie e le cattura.
I due poderosi animali, sopraffatti dal mago, vengono così derisi, offesi e sbeffeggiati dalla sagacia di una contadina che li ricopre di insulti ed improperi per aver subìto la devastazione del suo orto da parte dei cervi. Ma questi, con forza e tenacia, si divincolano e riescono a liberarsi e travolgono di nuovo l’intera piazza con la loro furia finché qualcuno grida a gran voce: “chiamate il cacciatore”.
Come un eroe moderno, l’uomo attraversa la folla e, mirando ai due cervi, ripristina l’ordine sparando due colpi di fucile. Le due bestie giacciono ormai immobili a terra e lo spettatore è indotto alla riflessione: l’uomo e la sua razionalità vincono l’incontenibile istinto animale. Ma non tutto è compiuto. Il cervo inferocito, simbolo del male, deve ancora mostrare il suo lato mansueto e sacro, deve rinascere a vita nuova, lasciar germogliare dentro di sé, e nel cuore di chi lo guarda, il seme dell’amore e della pace.
Ed è il Cacciatore, a questo punto, a offrirgli l’opportunità della redenzione. Con enorme delicatezza, soffia un “alito di vita” nelle orecchie dei due animali ed essi si rianimano, ritrovandosi di nuovo insieme, come prima ma senza le inquietudini che li avevano fin lì dominati. Ora sono liberi di tornare tra i boschi e di correre su quelle montagne così vicine e maestose, dove la disarmante realtà di una natura ancora incontaminata e selvaggia domina e vince sulle asprezze dell’umanità.
Il rito è compiuto e gli attori si allontanano pian piano dalla piazza, lasciando spazio alla musica, ai sapori e ai profumi dei piatti della tradizione… l’ottimo vino locale e una fumante e squisita polenta con salsiccia allietano la serata, il palato e i cuori dei sempre più numerosi presenti, a conferma dell’enorme successo che questa suggestiva manifestazione riscuote ogni anno.