a cura di Vincenzo D’Andrea
Il misterioso Tartufo è ancora più impenetrabile se non lo si conosce per bene!
Parlando ed ascoltando le considerazioni di tanti, ancora molti lo considerano un “ortaggio” ipogeo, spesso chiamato “Tubero” (anche da chi scrive di gastronomia su magazine importanti!), assimilandolo in tutto e per tutto alla patata… ma patata non è! Se un’Associazione Micologica parla di “Tartufo” è chiaro che il Tartufo sia un Fungo!
Il genere è Tuber per la somiglianza alla patata ma non per appartenenza ai tuberi. Un fungo speciale, sotterraneo, tecnicamente detto “ipogeo”, che per farsi notare dalle sue prede naturali non si esalta con forme straordinarie o con colori sfavillanti. L’unica sua arma per farsi catturare è il profumo!
La similitudine dei suoi aromi a quelli dei feromoni animali lo rende fortemente ricercato da tante specie selvatiche: cinghiali, volpi, tassi. Soprattutto le centinaia di migliaia di insetti, che con il tartufo condividono il sottosuolo, sono attratti, lo mangiano in ridotte quantità e ne diffondono le spore, perpetuando la conservazione della specie. Un giorno un altro animale superiore, un superpredatore bipede, lo conobbe: da allora la sua ricerca è diventata sempre più insistente, non tanto per perpetuarne la specie, ma per il piacere del cercatore stesso.
Il tartufo, rispetto alla sua origine, solo da tempi recentissimi viene prelevato dall’uomo. In alcuni territori, come il nostro Matese, da meno di un secolo è parte della cultura locale di cercarlo ed utilizzarlo in gastronomia. Ancora pochi sanno che l’area pedemontana del Matese Orientale, lungo il fondovalle che va al mare, è una delle aree a maggior concentrazione produttiva di Tartufo Bianco d’Italia; quasi mai utilizzato “in loco” per essere attrattore turistico e quasi sempre destinato ad essere “sdoganato” come piemontese o di altri luoghi, lì dove son più bravi a sapergli dare valore.
Gli indigeni dei nostri luoghi ignoravano di camminare su questo prezioso fungo, incontrando talvolta “cacciatori senza fucile”, frequentemente con accento romagnolo o umbro, che con il proprio cane ed uno strano “bastone” (quello che oggi chiamiamo in gergo “vanghello” o “vanghetto”) si addentravano nell’impervia boscaglia, tipico ambiente di crescita del Tartufo Bianco. Talvolta, per guadagnarsi il benestare del proprietario dei terreni o per attenuare il sospetto dello straniero, i cercatori acquistavano tanti favolosi prodotti locali, frutto della sapienza contadina e pastorale del posto: pane, olio, vino, formaggi. E così fino a pochi decenni fa quando poi qualcuno “si è fatto furbo” ed ha acquisito il know-how della ricerca del tartufo, cacciando definitivamente i colonialisti dell’altra Italia!
Questo è quanto è accaduto nel Molise, ma su per i monti, già dalle medie quote di entrambi i versanti, il sottosuolo regala altre preziosità del genere Tuber. Quelli di un altro colore che, come sempre, si mimetizza col terreno e da esso prende le sfumature cromatiche. Il nero del terreno di montagna regala molte altre specie di tartufi, questa volta Neri. Si, perché il tartufo non è solo la “Trifola Bianca”, per carità, unica nei suoi aromi, ma i “Neri”, nella loro diversità di odori, riescono a conferire aromi diversi alle pietanze che vanno ad arricchire. A patto e condizioni che il suo utilizzo sia quello giusto e, soprattutto, non sia impiegato come il “parente povero” del Tartufo Bianco!
Ma quali sono i Tartufi Neri? A questo gruppo appartengono 7 “tipologie” (5 specie e 2 varietà) dei Tuber considerati commestibili: Tartufo Nero Pregiato (Tuber melanosporum), Scorzone estivo (Tuber aestivum), Scorzone d’inverno (Tuber aestivum var. uncinatum), Tartufo nero ordinario (Tuber mesentericum), Tartufo nero liscio (Tuber macrosporum), Trifola invernale (Tuber brumale), Tartufo moscato (Tuber brumale var. moschatum). Quanti di questi sono conosciuti ai consumatori?
Questa è la “Biodiversità del Tartufo”, l’opportunità che deve essere accolta ed utilizzata. I “Tartufi Neri” sono presenti nel corso dell’intero anno ed il loro saggio utilizzo permette di avere sempre un “frutto” fresco, evitando il fraudolento impiego di surrogati anche quando il “Bianco” non c’è, basandosi, però, sull’attenta conoscenza dei loro aromi, delle loro proprietà e caratteristiche. Il tartufo non va ricercato fuori stagione, quando non deve essere assolutamente prelevato perché il suo ciclo biologico impone di lasciarlo lì dov’è! E poi fuori periodo di raccolta il suo gusto è assolutamente insignificante! L’utilizzo di conserve (salse di tartufo e surrogati simili), inoltre, ha degenerato il gusto del consumatore medio che ha deviato le sue conoscenze verso gli “aromi artificiali”, fortemente lontani dalle diversità aromatiche che le varie specie naturalmente conferiscono.
Il Tartufo è e potrà ancor di più essere un’opportunità di conoscenza del nostro Matese, riuscendo ad eviscerarne le diverse peculiarità che lo caratterizzano. Per questo l’Associazione Micologica del Matese ha voluto fortemente che l’intera area del Parco Nazionale del Matese venisse riconosciuta nella “Associazione Nazionale Città del Tartufo”, riuscendo a far sì che ne facesse parte ed ottenendo un’integrazione dello statuto di questo sodalizio che non prevedeva inizialmente gli Enti Parco. Purtroppo alcune amministrazioni locali non hanno colto il vero senso di questa partecipazione, non accogliendo questa opportunità!
La certezza è che il Tartufo è un ottimo biglietto da visita dell’intero territorio matesino. La speranza è che questa potenzialità diventi realtà. Sarà la nostra sfida e di chi con saggezza riuscirà a dare storia a questi profumi, diversi nelle diverse stagioni, interessanti attrattori di chi ama il “naturale” del Matese.